8 Gennaio 2014
TERRA DEI FUOCHI: COLDIRETTI, PAGARE DANNI CON BENI CONFISCATI A MAFIE

Da gennaio 2012 nell’area della terra dei fuochi (province di Napoli e Caserta) ci sono stati oltre 6 mila roghi di rifiuti (materiali plastici, scarti di lavorazione, pellame) con i fenomeni di abbandono incontrollato e smaltimento abusivo che comportano rischi di inquinamento del suolo, dell’atmosfera e delle acque sotterranee. 

E’ quanto si legge nel dossier presentato dalla Coldiretti nel corso dell’audizione alla Commissione Agricoltura della Camera dei deputati in merito all’esame del disegno di legge di conversione del decreto legge 10 dicembre 2013, n.136, Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali ed industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate.

In via più generale, occorre - sostiene la Coldiretti - rendere efficaci e tempestive le azioni di bonifica dei siti contaminati e l’attivazione delle misure di emergenza e di messa in sicurezza; sbloccare i fondi esistenti e recuperare nuove risorse economiche (ad esempio proventi dei beni confiscati alle mafie) da destinare prioritariamente agli interventi di bonifica ma anche come indennizzo alle comunità danneggiate (attività agricole, comunità locali, altre attività, ecc..). Sarebbe anche interessante avviare un percorso teso ad includere nella nozione di danno ambientale il danno alle produzioni tipiche. Nel provvedimento occorre evitare – sottolinea la Coldiretti - che gli imprenditori agricoli, sui terreni dei quali sia riscontrata una contaminazione della quale non sono responsabili, subiscano, oltre ai danni derivanti dallo stato di compromissione ambientale ed alla perdita di reddito connessa all’impossibilità di commercializzare i propri prodotti, anche gli oneri di un procedimento di bonifica. Sembra assurdo, infatti, che – sostiene la Coldiretti - nell’impossibilità di individuare il reale responsabile delle attività illecite e dell’inquinamento, gli imprenditori agricoli debbano sopportare conseguenze drammatiche ed inique, perdendo la propria attività e la proprietà dei terreni. Le criticità ambientali di un’area sostanzialmente ristretta hanno danneggiato l’immagine complessiva della produzione agroalimentare dell’intera Regione. Ne consegue la necessità di predisporre una adeguata mappatura e delimitare le aree a rischio (come previsto dal decreto legge 10 dicembre 2013, n.136) ed attivare un piano di controlli diffusi. Al riguardo, si sottolinea, però, come sia indispensabile evitare che la delimitazione dei terreni non idonei alla produzione agroalimentare venga effettuata sulla base di mere presunzioni di rischio. Considerata la particolare onerosità dei provvedimenti adottati, è necessario un completo approfondimento sulla ricaduta che, in concreto, abbiano i contaminanti sulle specifiche colture o attività agricole in atto e sui prodotti alimentari da esse derivanti. Si tratta, piuttosto, di valutare la qualità, quantità ed anche persistenza dei contaminanti e le ripercussioni effettive degli stessi sulla sicurezza alimentare, come definita e disciplinata dal Regolamento comunitario n.178/2002 del 28 gennaio 2002.  Il decreto legge, sul punto, non sembra chiarissimo e – sostiene la Coldiretti - dovrebbe essere integrato. A garanzia dei consumatori, è necessario secondo la Coldiretti, predisporre appositi strumenti di certificazione volontaria dei prodotti (con la collaborazione di enti e istituzioni pubbliche (ad es. Asl), che non preveda apposizioni di marchi o segni distintivi dei prodotti, ma utilizzati per intense campagne di marketing volte a ricostituire la necessaria fiducia, presso i consumatori, circa l’origine dei prodotti da quell’area di cui, comunque, risulta confermata la conformità ai parametri positivi. Occorre individuare nelle aree contaminate alternative produttive a quelle alimentari (ad esempio: colture “no food” a fini agroenergetici) oppure promuovere colture che non risultano compromesse dagli inquinanti rilevati (ad es. che non necessitano di irrigazione, quando l’inquinamento provocato dai rifiuti impatta soprattutto sulla qualità delle acque). In ogni caso, appare necessario integrare le disposizioni del decreto legge n.136 delegando il Ministero dell’ambiente a procedere alla definizione di parametri di riferimento per l’impiego delle acque ad uso irriguo su colture alimentari e delle relative modalità di analisi, in modo da garantire la tutela dell’ambiente e della salute. La qualità delle acque destinate ad uso irriguo, infatti, costituisce un requisito essenziale per  il rendimento delle coltivazioni, la produttività del suolo e la protezione dell'ambiente  e della salute. sembra necessario intervenire - chiede la Coldiretti - per differenziare le ipotesi di combustione controllata dei residui vegetali sul luogo di produzione, rispetto alle ipotesi delittuose oggetto di intervento nel decreto legge. La formulazione della norma contenuta nel decreto, seppure condivisibile nell’ottica di reprimere le attività illecite di combustione di rifiuti, rischia di essere applicata – conclude la Coldiretti - anche alle attività di combustione controllata effettuata dagli imprenditori agricoli o dai privati proprietari di orti o giardini, secondo normali pratiche e consuetudini.

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